La difficoltà storica dei liberi professionisti ad esercitare la propria professione in forma aggregata è una caratteristica ricorrente in questa tipologia di attività lavorativa, ed il settore dei Commercialisti sposa pienamente questo peculiare aspetto.

Tuttavia, i cambiamenti del tessuto socio-economico cui abbiamo assistito nel recente passato, stanno rendendo sempre più critica la forma organizzativa individuale delle professioni liberali, messe a dura prova dalla crescente concorrenza, dalla crescente complessità normativa, dalla crescente specializzazione dei servizi richiesti dai clienti. 

Altresì, ragionando in ottica prospettica, il futuro non sembra riservare un trattamento di favore a coloro che privilegiano il modello “atomistico” della professione: con l’aumento sempre più invasivo della digitalizzazione in tutti i livelli dell’operare quotidiano, sempre più attività “base” verranno svolte da software e intelligenze artificiali, rendendo presto obsolete le competenze di molti professionisti. Quest’ultimi, per non perdere di competitività, dovranno dunque accrescere il loro livello di specializzazione, che costituisce un onere difficilmente sostenibile per chi esercita la professione individualmente. 

Invero, come emerge dall’indagine statistica condotta nel 2018 a livello nazionale nell’ambito della professione di Commercialista (1), su un campione di 7.931 rispondenti, l’area professionale più gettonata è quella di contabilità e bilancio, esercitata dall’89,2% del campione, seguita, anche se a debita distanza, dalla consulenza e pianificazione fiscale che registra il 54,8%. Tali due attività possono essere definite le attività “base” della figura di Commercialista, molto più frequenti rispetto a quelle attività che richiedono una maggiore specializzazione, quale l’attività di valutazione d’azienda, che segna il 40,9% delle preferenze, il contenzioso tributario con il 38,7% e la finanza aziendale che segna il 37,6%; ancora, classificandosi come attività maggiormente “di nicchia” rilevano la crisi d’impresa, in cui opera il 17,9% dei rispondenti, enti del terzo settore con il 15,8% ed enti locali con il 14,5%.

Un contesto difficile, questo, che richiede sicuramente un ripensamento organizzativo da parte di molti professionisti, che dovrà essere orientato verso l’aggregazione professionale.

Per aggregazione professionale si intende quel processo mediante il quale due o più professionisti svolgono la loro attività nello stesso studio professionale: ciò può avvenire mediante studio condiviso, studio associato, società tra professionisti o altra forma societaria (2).

Allo stato attuale, come emerge dall’indagine precedentemente menzionata, su un campione di 7.931 rispondenti, al quesito circa la tipologia di studio il 61,4% del campione riferisce di operare in uno studio individuale, il 19,7% in uno studio associato o società semplice, il 14% in uno studio condiviso (all’interno del quale vengono ripartite le spese comuni, senza una vera e propria sinergia tra professionisti), il 2,2% opera in una Società tra professionisti; infine, il 2,6% dei rispondenti ha indicato altre tipologie di studio.

Eseguendo una rapida rielaborazione di tali dati, emerge come, raggruppando le risposte in solo due opzioni che distinguono la forma di studio individuale da quella aggregata, risulta che il 61,4% opera in forma individuale mentre il 35,9% in forma aggregata.

Nonostante questi numeri confermino l’avversità tipica all’aggregazione di cui si è fatta precedente menzione, l’ambito della professione di Commercialista sembra far meglio rispetto alle altre professioni: soltanto con riferimento al modello associativo delle Società tra professionisti, o Stp, come evidenziato nell’interessante documento di ricerca della Fondazione Nazionale Commercialisti (3), secondo una recente indagine di Unioncamere, tra le 4.129 Stp censite a marzo 2021, 2.054 Stp sono afferenti all’area legale e contabile, mentre quelle iscritte all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili sono 1.350. Numeri molto interessanti, considerando che corrispondono al 33% del totale Unioncamere, nonostante gli Ordini e Collegi professionali italiani siano una trentina.

L’analisi prosegue, sempre nello stesso documento, indagando in che aree del panorama nazionale vi sia un maggior interesse per questa particolare forma aggregativa introdotta dall’articolo 10 della Legge n. 183 del 12 novembre 2011, emergendo come a fine 2020 siano 783 le Stp iscritte ad Ordini del Nord, 203 agli Ordini del Centro e 198 agli Ordini del Sud. La loro maggior presenza nel Settentrione è anche associata ad una maggior rilevanza in relazione al numero di iscritti agli Ordini, il cui rapporto nel Nord triplica il rapporto nel Sud, con un picco massimo nel Trentino Alto-Adige, il cui numero di Stp è pari al 3,9% del totale degli iscritti, e un picco minimo in Calabria, dove si registra lo 0,3%, a fronte di una media nazionale pari all’1%.

Tuttavia, si rileva una problematica piuttosto marcata in termini dimensionali: una Stp su cinque non ha dipendenti, e la maggior parte, più precisamente il 56,5% del totale, non supera i tre dipendenti.

Questa caratteristica, che rende quasi tutte le Stp delle microimprese, si ripercuote inesorabilmente anche sul loro fatturato, che in assenza di capacità lavorativa, incontra grossi limiti.

Difatti, circa la metà (il 48,5%) degli studi commerciali non supera i 100 mila euro di fatturato annuo; il 39,1% ha un fatturato annuo tra i 100 e i 500 mila euro, e soltanto l’8,1% supera il milione di euro annui. Limite, questo, che rende tale settore di attività sicuramente più esposto alle fluttuazioni di mercato, non avendo le capacità dimensionali per contrastare attivamente le acute turbolenze tipiche dei cicli economici.

Sicuramente, i limiti insiti nei numeri sopra esposti, sono non solo una conseguenza dei limiti culturali propri dell’approccio a tale complessa ma appagante professione, ma, altresì, sono frutto della freschezza della normativa riguardante le strutture di riferimento delle aggregazioni professionali. 

Pertanto, lo scrivente, ritiene che tale situazione costituisca solo l’inizio di un processo di riforma delle modalità operative della professione di Commercialista, i cui attori dovranno sicuramente mettere in campo processi innovativi per restare sul mercato.

 


 1 T. Di Nardo, L’evoluzione della professione di commercialista. Organizzazione dello studio e specializzazione professionale, 2022

 2 Per un approfondimento sul tema, si veda il documento CNDCEC-FNC “Il processo di aggregazione e digitalizzazione negli studi professionali”, luglio 2019.

3 Di Nardo, Il ruolo delle Stp nell’evoluzione della professione di Commercialista, 22 marzo 2022.