GIANLUCA LEGA e RICCARDO PUGLIANI Ordine di Roma, FEDERICO LOFFREDO Ordine di Venezia

Come ampiamente dimostrato in alcune indagini statistiche effet-tuate nei più recenti anni, come quella condotta nel 2018 a livello nazionale nell’ambito della professione di Commercialista​ (1​), l’aggregazione professionale in ogni sua forma, sia che venga effettuata attraverso Studi associati o Studi condivisi, sia che venga realizzata mediante forme societarie, permette numerosi vantaggi in termini di sviluppo dimensionale, di fatturato e di redditività.

Tuttavia, nella prassi si è riscontrato come, nonostante sia piuttosto noto che l’unione fa la forza, meno noto è il come, ossia come affrontare operativamente le sfide che si presentano nel momento in cui si decide di strutturare un’aggregazione, primo fra tutte come valutare il proprio Studio professionale e quello con il quale ci si intende aggregare.

Lo scopo del presente scritto non è quello di fornire una “formula magica” da applicare a qualunque casistica, poiché i metodi per la determinazione del loro valore sono gli stessi, ben noti in dottrina, che si applicano per la stima del valore di qualsiasi organizzazione, societaria e non, produttrice di reddito, ossia: i metodi patrimoniali, i metodi dei flussi di risultato e i metodi misti. Invero, la finalità del presente elaborato è quella di far riflettere su quali possano essere i differenti driver di valore che conducono alla determinazione del valore economico di uno Studio professionale, così da fornire una stima che possa rifletterli al meglio.

Molto diffusi nella prassi sono alcuni metodi empirici come il c.d. metodo del pollice​ (2​), secondo il quale uno Studio professionale viene valutato moltiplicando il suo fatturato per un valore compreso tra 1 e 1,5. Gli scriventi, tuttavia, nutrono alcuni dubbi sulla bontà di tal modello, poiché non incorpora una valutazione sull’efficienza dell’organizzazione da valutare,​ intesa come struttura di costi. Facendo l’esempio di due Studi professionali con fatturato pari ad 1 mln di euro, appare evidente che il loro valore sarà profondamente diverso nel caso limite in cui uno abbia costi per 900mila euro e uno per 100mila euro. Se poi si valuta il primo con un multiplo pari ad 1 e il secondo con un multiplo pari ad 1,5, i valori sarebbero 1 mln di euro il primo e 1,5 mln di euro il secondo. Risulta però lampante come tali valori non siano rapportabili, poiché i payback period corrisponderebbero, rispettivamente, a 10 anni e 1,67 anni.

A parer degli scriventi, i metodi più appropriati per la valutazione di uno Studio professionale sono quei metodi che tengano conto di elementi immateriali come l’intuitus personae del professionista, il rapporto professionale instaurato con la clientela e il know-how dei collaboratori; si può tener conto di questi fattori attraverso i metodi misti patrimoniali-reddituali​ (3​) e il metodo reddituale​ (4): tuttavia, prima di applicarli, sarà opportuno effettuare una serie di considerazioni di seguito esposte.

Innanzitutto, bisognerà analizzare le attività svolte dallo Studio professionale oggetto di valutazione, rilevando la distinzione tra attività specifiche e attività a-specifiche.
Le prime sono tutte quelle attività che si classificano “di nicchia”, quali la crisi d’impresa, attività di amministrazione e controllo all’interno di Società, enti del terzo settore ed enti locali. Il valore di tali attività è profondamente legato al Professionista che le svolge piuttosto che allo studio, poiché, come nel caso delle cariche sociali, sono attività assegnate ad personam; pertanto, in ottica di valutazione, occorrerà tenerne presente nella misura in cui bisognerà scorporare gli utili (e i fatturati) derivanti da queste attività dagli utili (e i fatturati) dello Studio.

Le seconde sono, invece, quelle attività che possono essere definite “di base” dell’attività di Commercialista, quali l’area della contabilità e bilancio, delle​ paghe, della compliance fiscale e dell’elaborazione dati in generale. Di conseguenza, non richiedendo competenze di natura prettamente specializzata, possono essere effettuate da qualsiasi organizzazione e dovranno essere computate nel calcolo del fatturato prodotto dallo Studio professionale, poiché incide in misura relativa il professionista che le svolge. Tale distinzione rileva in maniera incisiva soprattutto nel momento in cui si inquadra la valutazione in un quadro più ampio, ossia la sua finalità: se è funzione di un’aggregazione che avverrà mediante fusione per incorporazione o attraverso una cessione. Nel primo caso, confluendo lo Studio professionale all’interno dell’incorporante, il trasferimento riguarderà altresì i Professionisti ivi operanti; pertanto, non figureranno le considerazioni discusse pocanzi.

Contrariamente, nel caso in cui si verifichi una cessione in cui l’oggetto dell’operazione riguarda elementi materiali ed immateriali dello studio quali i capitali, la clientela, il marchio, ecc., ad eccezione dei Professionisti, emergeranno tali precedenti considerazioni.

Analisi similare dovrà emergere anche quando, nel momento in cui si determina la redditività prospettica di uno Studio, ci si interroga sulla relazione che lega lo Studio professionale al suo fatturato. Nel caso in cui la clientela venga attratta dallo Studio in virtù del forte posizionamento sul mercato del suo brand, non rilevano particolari analisi; se, invece, la clientela viene attratta da un certo rapporto di fiducia con i Professionisti all’interno dello Studio, nel caso in cui questi non siano compresi nella cessione, bisognerà sicuramente tenerne conto riducendo i livelli reddituali di partenza, poiché non integralmente ripetibili.

La distinzione tra attività specializzate e non specializzate rileva, altresì, con riferimento alla clientela dello Studio, spesso principale oggetto di operazioni di cessione. Questo poiché, come evidenziato in un’interessante opera​ (5​), la specificità di talune prestazioni comporta non avere una clientela stabile e fissa nel tempo, con la conseguenza di dover apportare le adeguate modifiche in sede di determinazione della redditività dello Studio. Nel caso, invece, di uno Studio professionale le cui attività svolte siano attività “di base”, la clientela è legata alle prestazioni professionali da rapporti di tipo continuativo, con la possibilità di determinarne la redditività considerandoli elementi di valutazione ripetibili negli anni.

Inoltre, trovandoci nell’ambito di una professione in rapida evoluzione, un successivo aspetto da tener presente è costituito dalla comprensione dell’andamento futuro del mercato delle attività svolte dallo Studio professionale oggetto di valutazione.

A parer degli scriventi è possibile effettuare una triplice distinzione tra attività il cui mercato è destinato: ad affievolirsi sempre di più, a rimanere stabile, a svilupparsi.
Nel primo caso rientrano tutte quelle attività di elaborazione dati che è ragionevole ritenere verranno prossimamente svolte da software e intelligenze artificiali; pertanto, nella valutazione di uno Studio professionale basato su tali attività, se ne dovrebbe dare indicazione inserendo un tasso di spread per il maggior rischio all’interno del tasso di attualizzazione dei redditi prospettici. Nel caso in cui vi sia ragione di credere che il mercato delle attività svolte possa restare stabile nel tempo, poiché caratterizzato da operazioni che si prevede si continuerà ad effettuare e che richiederanno un certo grado di discrezionalità e soggettività difficilmente sostituibili dalle macchine (ad es. operazioni straordinarie d’azienda, perizie di valutazione, operazioni di turnaround, …) non rilevano particolari considerazioni da fare. Nella terza circostanza, infine, ci si trova di fronte alla valutazione di uno Studio le cui aree di attività si trovano all’interno di un mercato che ad oggi è nelle prime fasi di vita, con prospettive di crescita molto elevate. È questo il caso, per citarne uno, del mercato della consulenza sugli ESG, un acronimo con il quale ci si riferisce ad una serie di impegni che l’azienda intende assumersi quali il rispetto verso l’ambiente, il rispetto dell’etica aziendale e la trasparenza, riassunti tutti all’interno del Bilancio di sostenibilità. La sua redazione non è ancora obbligatoria, ma lo diventerà presto, poiché non solo sono sempre più numerose le organizzazioni che decidono di dotarsi di questo strumento di reporting, rendendo la sua adozione una discriminante competitiva, ma altresì, l’ordinamento giuridico è indirizzato in questa direzione. Di conseguenza, sarà opportuno integrare aspetti come questo all’interno della valutazione, per esempio attraverso l’introduzione di un tasso g di crescita che vada a ridurre il tasso di attualizzazione dei redditi prospettici.

1 Per un approfondimento sul tema, si veda il documento di T. Di Nardo, L’evoluzione della professione di commercialista. Organizzazione dello studio e specializzazione professionale, 2022.
2 La “regola del pollice” è un modo di dire che deriva dall’inglese rule of thumb. Viene spesso usato in ambito matematico, economico e informatico per indicare una linea guida o un principio, spesso dedotto dall’esperienza, indicato come valido nella maggior parte dei casi.
3 dove: W = valore economico; K = patrimonio netto rettificato; Rt = il flusso di reddito netto atteso normalizzato nell’anno t-esimo; i = il tasso di attualizzazione dei flussi reddituali; n = il numero degli anni che compone il periodo di previsione analitica; t = anno di riferimento.
5 C. Mandirola et al, Liberi professionisti e trasferimento della clientela e dello studio, IPSOA, 2015, pag. 87.